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Centro Studi Fdt

CENTRO STUDI “FUGA DEI TALENTI”

La “Fuga dei Talenti” è un fenomeno per molti versi ancora sconosciuto nella sua reale entità. Sporadici articoli sui giornali, e ancora più sporadiche ricerche ufficiali o semi-ufficiali, provano da anni a tratteggiarne i contorni. Mancano tuttavia ricerche organiche.

Il blog “La Fuga dei Talenti” ha aperto nel 2011 il primo CENTRO STUDI sulla nuova emigrazione professionale italiana: un osservatorio permanente sul fenomeno, dove tutti i nostri lettori potranno trovare dati aggiornati.

In questa pagina potrete consultare sia le statistiche sulla nuova emigrazione, sia quelle sulle cause che spingono i giovani italiani di talento ad espatriare.

Accanto ai dati, potrete cliccare sui links agli articoli.

Il Centro Studi “La Fuga dei Talenti” sarà costantemente aggiornato, con i dati che recupereremo e che gli stessi lettori del blog ci segnaleranno, inviandoci una e-mail a: fugadeitalenti@gmail.com

PER INFO: Contatto Stampa Centro Studi “La Fuga dei Talenti” – fugadeitalenti@gmail.com

AVVERTENZA: LA CONSULTAZIONE DEL DATABASE E’ LIBERA E GRATUITA. PER EVENTUALI CITAZIONI E RIPRODUZIONI E’ OBBLIGATORIO CITARE QUALE FONTE IL BLOG “LA FUGA DEI TALENTI”

Aggiornamento: 17/6/2017

+++ I DATI – LA FUGA +++

Di seguito riportiamo i dati ufficiali della fuga dei talenti all’estero: i dati ufficiosi rappresentano il doppio delle cifre che troverete elencate qui sotto. Tutte le indagini a campione concordano sul fatto che solo un italiano su due emigrato si iscrive ai registri ufficiali.

—DATI GENERALI AIRE/ISTAT

***LATEST DATI AIRE (dati 2017)

-sono stati 128.193 gli espatriati complessivi nel 2017, con un incremento -rispetto al 2016- pari al 3,6 per cento. In controtendenza la fascia 20-40 anni, che registra a sorpresa un leggero calo (-0,3 per cento).

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***LATEST DATI AIRE (dati 2016)

-espatri annui raddoppiati in un quinquennio – ora oltre quota 120mila;

-boom della Gran Bretagna -nel 2016- tra i 20-40enni… nonostante la Brexit

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***LATEST DATI AIRE (dati 2015)

-Nel 2015 sono stati 107.529 gli italiani emigrati, in aumento di oltre seimila unità in un anno. Il 56% sono uomini, il 44% donne.

-La vera novità è però rappresentata dagli espatriati nella fascia di età tra i 20 e i 40 anni: nel 2015 ne sono ufficialmente emigrati 54.540, rendendo questo segmento maggioranza assoluta.

-L’Europa continua a fare la parte del leone negli espatri, con 74.531 italiani che hanno scelto -anche nel 2015- il Vecchio Continente, quale méta di approdo. Il Paese prediletto resta la Germania (16.569 emigrati), tallonata a un’incollatura dalla Gran Bretagna (16.500). Terza la Svizzera (11.451), seguita dalla Francia (10.707). Più staccati gli altri Paesi: quinto il Brasile, poco sopra i seimila italiani emigrati, poi Stati Uniti, Argentina, Spagna, Belgio e la lontana Australia. Risalta il quattordicesimo posto in classifica degli Emirati Arabi Uniti, con oltre 1200 connazionali espatriati.

-Se restringiamo la visuale alla fascia più giovane, notiamo però come sia la Gran Bretagna la vera “terra promessa” dei 20-40enni italiani: sorpassa la Germania sia nella fascia 20-30 anni (5421 emigrati contro 5025), sia nella fascia 30-40 anni (4892 contro 4111). Da segnalare, rispetto alla classifica generale di espatrio, l’ottimo posizionamento degli Stati Uniti nella fascia 30-40enni: sono il quinto Paese di approdo, con 1647 italiani. Quasi tre “under 40” su quattro restano in Europa: un tasso più alto, rispetto alla media generale.

-Per quanto riguarda la provenienza regionale, è boom per la Lombardia, che nel 2015 ha superato i ventimila espatri annui, posizionandosi a 20.088. Il Veneto si riappropria della seconda posizione, con 10.374, staccando la Sicilia, a 9823 emigrati. E’ sintomatico come -fra le prime tre regioni italiane di espatrio- ben due siano del Nord, confermando e consolidando un trend che disegna i movimenti migratori in due fasi: dal Sud verso il Centronord Italia, e dal Centronord verso l’estero. Non è un caso che al quarto posto figuri il Lazio (8436 espatri), seguito dal Piemonte e dall’Emilia-Romagna. Per trovare un’altra regione del sud dobbiamo attendere il settimo posto, con la Campania (6827 emigrati). Completano la “top ten” Toscana, Puglia e Calabria. Per curiosità statistica, è l’Umbria la regione dove tocca l’apice l’emigrazione all’estero degli uomini (58% sul totale), mentre sul fronte femminile la palma se la aggiudica il Friuli-Venezia Giulia (47%).

-Anche nella fascia 20-40enni la Lombardia resta in testa tra le regioni di espatrio. Interessante però notare come fra i 30-40enni siano Veneto e Lazio a completare la “top three”, mentre tra i 20-30enni la Sicilia rappresenti la seconda regione di emigrazione, staccando nettamente il Veneto.

-Sulla base dei dati Aire è infine possibile quantificare in 817.000 il numero di italiani complessivamente espatriati in un decennio, dal 2006 al 2015. Mentre i connazionali ufficialmente residenti all’estero al 31 dicembre 2015 erano 4.811.163, in crescita di quasi duecentomila unità in un anno.

DATI AIRE 2014

Nel 2014 è stata sfondata quota 100mila emigrati ufficiali (nell’anno solare) in un decennio: per la precisione, 101.207 complessivi, in ulteriore crescita di oltre settemila unità rispetto all’anno precedente;

la Germania ha risorpassato la Gran Bretagna, tra le destinazioni di approdo. 14.270 gli italiani emigrati in Germania, contro i 13.388 nel Regno Unito. Terza si conferma la Svizzera (11.092);

per regioni di provenienza, è boom dalla Lombardia, con 18.425 emigrati, ben il 18% del totale. Al secondo posto torna a sorpresa la Sicilia (8765), che nel 2013 era invece finita quarta. Terzo il Veneto (8720). Si conferma il trend di una prevalente emigrazione all’estero dal Centronord Italia, con ben due regioni su tre del Nord su questo simbolico “podio” dell’emigrazione;

concentrandoci sulla fascia 20-40enni, ancora una volta osserviamo come questi costituiscano quasi la metà degli emigrati complessivi (47.901). I più giovani continuano a preferire la Gran Bretagna come destinazione: 8351 gli emigrati Oltremanica, contro 7374 emigrati in Germania. Anche qui, terza la Svizzera (5200);

infine, al 31 dicembre dello scorso anno, i residenti italiani all’estero sono ulteriormente cresciuti, fino a raggiungere quota 4.636.647.

DATI AIRE 2013

A livello generale, anche il 2013 ha visto crescere l’emigrazione ufficiale italiana verso l’estero: 94.126 i connazionali espatriati, con un incremento del 19,2% rispetto al 2012 (anno nel quale la crescita era stata pari al 30%). Oltre a sfiorare quota 100mila unità, l’emigrazione ha fatto registrare in soli due anni un incremento del 55% (dai 60.635 del 2011).

Per dare un’idea comparativa, è come se -nel 2013- l’intera città di Alessandria si fosse trasferita all’estero. Anche se e’ più ragionevole ritenere che -poiché circa un italiano su due non comunica il proprio trasferimento oltreconfine- sia stato l’equivalente della città di Prato (188mila abitanti) ad emigrare, nel 2013.

Nel 2013 la Gran Bretagna e’ diventato il primo Paese mondiale di emigrazione per gli italiani, con 12.904 espatri ufficiali (segnalati all’ufficio Aire). L’incremento rispetto al 2012 e’ stato del 71,5%. Il vero boom di espatri verso il Regno Unito si registra soprattutto nella fascia 20-40enni: lo scorso anno sono approdati Oltremanica 8487 italiani in quella fascia d’età, con un incremento dell’81%, rispetto al 2012. Più numerosi i 20-30enni (4351), rispetto ai 30-40enni (4136).

Caratteristiche generali: boom di emigranti dal Lazio. Si espatria sempre più dal Centro-Nord Italia.

A livello di provenienza regionale, resta ampiamente primatista la Lombardia, con 16.418 espatri (+24,7% sul 2012), seguita dal Veneto (8743 emigrati). La vera sorpresa è però il Lazio, che in un solo anno sale di due posizioni e scalza la Sicilia dal terzo posto: 8211 gli emigranti laziali, con un incremento del 37,9%.

L’emigrazione all’estero assume sempre di più i connotati di un fenomeno del Centro-Nord del Paese: nella “top ten” regionale degli espatri 2013 troviamo al quarto posto la Sicilia (7818), al quinto il Piemonte (7267), al sesto l’Emilia-Romagna (6682), al settimo la Campania (6249), all’ottavo la Toscana (5159), al nono la Calabria (4716) e al decimo la Puglia (4665).

L’Europa resta il “porto sicuro” dei nostri emigranti: nel 2013 si sono trasferiti nei Paesi del Vecchio Continente 60.066 italiani, il 63,81% sul totale degli espatriati.

Come anticipato, la Gran Bretagna passa dal terzo al primo posto, tallonata dalla Germania (11.731 emigrati nel 2013), dalla Svizzera (10.300), dalla Francia (8342) e dall’Argentina (7496). Nella “top ten” dei Paesi di emigrazione da segnalare il sorpasso del Brasile (sesto Paese di destinazione) sugli Stati Uniti (ora settimi).

Anche nel 2013 gli uomini hanno costituito il 56% degli espatriati, le donne il 44%.

Fascia 20-40enni. La “fuga dei talenti” non cala: un emigrante su due ora è “under 40″.

Gli “under 40″ italiani fanno registrare una maggiore propensione alla fuga: lo scorso anno sono emigrati in 45.516. In percentuale, il 48,3% sul totale. Praticamente uno su due. Più numerosi i 30-40enni (24.001), rispetto ai 20-30enni (21.515).

Rispetto al 2013, l’incremento di espatri in questa fascia d’età e’ stato del 28,4%, superiore dunque alla media generale di quasi dieci punti. Nessun calo rispetto al 2012, quando l’incremento era stato del 28,3%.

Anche per i 20-40enni l’Europa fa la parte del leone quale Continente di approdo, “assorbendo” il 70,3% della nostra emigrazione: la Gran Bretagna stacca tutti, seguita dalla Germania (6023 20-40enni, +17%) e dalla Svizzera (5016, +22%). Interessante notare come la Germania attiri la fascia più giovane degli emigranti (3270 i 20-30enni), mentre la Svizzera costituisca un porto di approdo per quella più matura (2667 i 30-40enni).

Le prime tre regioni di provenienza degli “under 40″ sono, nell’ordine: Lombardia, Veneto e Lazio.

Tra i giovani il gruppo più numeroso di espatrio è quello dei 30-40enni lombardi (in 4421 hanno lasciato lo scorso anno la regione), seguiti dai 20-30enni lombardi (3596 espatriati), dai 30-40enni laziali (2360), dai 30-40enni veneti (2145) e dai 20-30enni siciliani (2069).

Infine, sempre secondo dati Aire, gli espatriati italiani al 31/12/2013 hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 2.379.977 (calcolata a partire dall’1/7/1990). Gli italiani complessivamente residenti all’estero alla stessa data erano invece 4.482.115.

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Fonte ISTAT: la quota di laureati “over 24″ emigranti balza dal 12% del 2002 al 27,6% del 2011: oltre 10mila i laureati in uscita, il doppio di quelli di rientro. Il biennio di svolta appare il 2006-2007, quando il balzo in avanti è stato di ben otto punti. E’ come se i laureati italiani avessero anticipato, andandosene dal Paese, la crisi strutturale che avrebbe colpito di lì a poco la Penisola.

-méta preferita dai laureati la Gran Bretagna, seguita da Svizzera e Germania. 

-SE RESTRINGIAMO LA RICERCA AI SOLI LAUREATI 25-40ENNI, IL RISULTATO E’ ANCORA PIU’ CHIARO: nel 2011 sono stati circa 7000 i nostri giovani professionisti qualificati emigrati, contro soli 3234 di rientro. Sette laureati su dieci emigrati rientrano dunque nella fascia più produttiva.

LINK I dati di espatrio aggiornati al 2012

—I NUMERI DELLA NUOVA EMIGRAZIONE (Dati AIRE 2012)

Dati ufficiali Anagrafe Residenti Italiani Estero: Gli iscritti all’Anagrafe Italiani Residenti Estero (Aire) di età compresa tra i 20 e i 40 anni hanno registrato un incremento (dovuto a un flusso in uscita dall’Italia) pari a 316mila e 572 unità tra il 2000 e il 2010, con un ritmo di oltre 30mila espatri l’anno.

Nel 2012 il totale dei 20-40enni espatriati è stato invece pari a 35.453 unità – dati ufficiali Aire. Stima ufficiosa: 70mila.

La comunità dei 20-40enni rappresenta una fetta importante sul totale degli espatriati dall’Italia, che nel 2012 ammontava -ufficialmente- a 78.941 unità: le classi più giovani e produttive rappresentano infatti il 44,8% del totale. Circa uno su quattro ha tra i 30 e i 40 anni.

LINKL’articolo

—ALTRI DATI

Oltre 60mila giovani italiani lasciano il Paese ogni anno. Il 70% di loro sono laureati (dati Confimpreseitalia)

LINKL’articolo

I laureati italiani finiti all’estero sono aumentati del 40% in sette anni. Nei primi dieci mesi del 2010 si sono trasferiti all’estero 65mila “under 30″ (dati Ance)

Su base regionale: nel 2011 sono state Lombardia e Veneto le regioni dalle quali sono emigrati più 20-40enni: 4.768 lombardi, 2.568 veneti. Solo al terzo posto la Sicilia (2.418 espatri), seconda nel 2010 e primatista nel decennio 2000-2010, seguita da Lazio (2.236) e Piemonte (2.197). Sesta la Campania (1.909), poi l’Emilia-Romagna (1.770), la Puglia (1.476), la Toscana (1.408) e la Calabria (1.181).

Se consideriamo invece il totale degli espatri tra il 2000 e il 2010, domina la Sicilia, che nell’ultimo decennio ha visto emigrare verso l’estero ben 40mila e 281 giovani tra i 20 e i 40 anni. A seguire la Lombardia (32mila e 678) e la Calabria (31mila e 049).

LINK l’articolo

IL CASO MILANO: 60.273 milanesi sono iscritti all’Anagrafe Residenti Estero, oltre il 13% ha tra i 23 e i 35 anni. Nel 2010 quasi mille i nuovi giovani iscritti. Dal 2000 il numero dei milanesi residenti all’estero è cresciuto del 134%. Fra i 23 e i 35 anni la crescita è esponenziale: +181%.

Dati del Rapporto Migrantes (2011): I cittadini italiani iscritti all’anagrafe dei residenti all’estero sono 4.115.235, il 6,8% della popolazione totale residente nella penisola. Cifre che dimostrano un aumento dell’emigrazione italiana all’estero, considerato che -nel 2010- i residenti fuori dall’Italia erano 90mila in meno. E cinque anni prima erano addirittura un milione in meno. In crescita la presenza femminile e dei giovani, in calo quella degli anziani. Il 54,9% di loro è fisicamente emigrato, il 37,7% è nato all’estero.

LINKFondazione Migrantes

Tasso di espatrio dei laureati italiani: 7% (dati Ocse del 2000 – media Ocse al 5%)

Laureati italiani residenti all’estero: 294.767 (118mila dei quali al lavoro in Europa – in testa la Francia, con oltre 27mila, seguita da UK a 23mila e Svizzera a 20mila / Altri 94mila erano emigrati negli Usa, 40mila invece in Australia).

LINKBrain Drain Italiano

Laureati italiani che emigrano: oltre il 9% (nei Paesi industrializzati la “forchetta” è compresa tra il 3,5% e il 13%). Solo lo 0,7% dei laureati che emigrano nei Paesi Ocse sceglie l’Italia.

LINKCervelli in Fuga

Per Almalaurea (marzo 2011) i laureati specialistici biennali che lavorano all’estero a un anno dal titolo sono il 4,5% (erano il 3% un anno prima). Il 29,5% degli occupati all’estero proviene da Ingegneria, il 16,5% dal gruppo linguistico, il 16% da quello economico-statistico e il 12% dal politico-sociale. A un anno dalla laurea ha un lavoro stabile il 48% degli occupati all’estero (contro il 34% di chi è rimasto).  Retribuzioni medie mensili: neolaureato italiano all’estero 1568 euro / neolaureato italiano in Italia 1054 euro.

Tra il 1996 e il 2007 ben 242mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno per trasferirsi all’estero. Tra loro oltre 13mila laureati. Il 75% ha meno di 45 anni, quasi uil 50% svolge professioni di livello elevato (dati Svimez)

LINKItalian Titanic

Il 3% dei laureati veneti espatria. Il 67% di loro non prevede di tornare entro due anni.

Tra il 2000 e il 2005 hanno lasciato il Sud ben 80mila laureati (dati Bankitalia)

LINKContinuavano a chiamarli Talenti in Fuga

Il 20% dei laureati dell’Università Bocconi trova lavoro all’estero

Inchiesta della trasmissione “Giovani Talenti”: Il ricercatore Lorenzo Beltrame (autore del paper “Realtà e retorica del brain drain in Italia”) ha stimato in 410mila i laureati italiani all’estero. Il saldo netto tra “cervelli” in entrata e in uscita è sfavorevole: uno contro tre. L’immigrazione in Italia appare scarsamente qualificata, mentre la nostra emigrazione è -al contrario- qualificata. Per l’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del Cnr, circa 25mila professionisti italiani occupano posizioni di alto livello negli Usa. 3500 di loro ricoprono posizioni di ricerca o docenza nelle università americane. Per la ricercatrice Simona Monteleone (autrice del paper “Analisi Multivariata delle tendenze migratorie dei ricercatori italiani all’estero”), il 70% dei ricercatori “under 40″ intervistati mostra bassa o nulla propensione a rientrare in Italia. Per Almalaurea, oltre il 50% dei laureati italiani all’estero afferma di non pensarci proprio, a rientrare (il flusso in uscita è quadruplicato -secondo Almalaurea- in meno di dieci anni). Infine, secondo il ricercatore Alvise Del Prà (centro Altreitalie), Barcellona e Berlino sono tra le città-simbolo della nuova emigrazione giovane. Il capoluogo catalano ha registrato in dieci anni (dal 2000) un +400% di italiani residenti: il 70% di loro ha meno di 35 anni.

—COSTI

-Calcolo della trasmissione “Giovani Talenti”: Secondo i dati Istat l’investimento in capitale umano che viene perso per l’espatrio dei laureati ammonta a 851 milioni e 760mila dollari. Secondo i dati di Confimpreseitalia ammonterebbe a ben 5 miliardi e 915 milioni di dollari.

-Secondo “La Repubblica”, la fuga dei talenti dall’Italia (calcolata sui dati Istat 2011) comporta un costo in termini formativi pari a otto miliardi e mezzo di euro in dieci anni, quasi un miliardo l’anno.  Il dato è stato ottenuto incrociando i dati Ocse sui costi sostenuti dallo Stato per formare un laureato, con il totale dei laureati espatriati.

-Secondo l’Istituto Italiano per la Competitività (ICom), i nostri “cervelli” in fuga all’estero hanno portato con sé circa quattro miliardi di euro. Si tratta del valore di tutti i brevetti da loro realizzati al di là delle Alpi, negli ultimi 20 anni. Il 35% dei migliori 500 ricercatori italiani abbandona il Paese, denuncia lo studio. Tra i migliori 100, uno su due sceglie di lavorare all’estero, mentre nei “top 50″ la percentuale di fuga sale al 54%. Solo 23 ricercatori sono ancora in Italia.

Sempre per l’Icom (stima novembre 2011) il danno annuale della fuga dei ricercatori è di un miliardo di euro, cifra generata dai 243 brevetti che i nostri migliori cinquanta cervelli in fuga producono all’estero.

—GIOVANI CHE ASPIRANO A UN CONTESTO DI LAVORO MULTINAZIONALE – O PENSANO DI EMIGRARE

Oltre uno su quattro (dati Bachelor)

LINKNeolaureati e Mondo del Lavoro

Sondaggio Eurobarometro 2011: il 38% dei giovani italiani (15-35 anni) è disposto a trasferirsi all’estero per lavorare.

Ricerca Gfk Eurisko (2011): il 59% dei giovani italiani vuole andare a lavorare all’estero, il 43% di loro sogna di lasciare l’Italia definitivamente

Per Eurispes (gennaio 2011), il 50,9% dei giovani tra i 25 e i 34 anni sono disposti a lasciare l’Italia. La media nazionale è al 40,6%.

I più disponibili al trasferimento all’estero vivono nel Centro Italia (49,4%). Méte preferite: Francia, Stati Uniti, Spagna, Inghilterra, Germania.

Sondaggio Studenti.it (giugno 2011): il 42% degli intervistati si definisce “deluso” dall’Italia e dichiara di voler andare all’estero. Per il 98% del campione l’Italia non è un Paese per giovani.

—GIOVANI NEOLAUREATI CHE INTENDONO LASCIARE L’ITALIA

Indagine Bachelor 2011: l’80% dei neolaureati si trasferirebbe all’estero per un anno. Il 57% per tre anni.

LINK L’articolo

Il 95,8% (sondaggio online del magazine Jobmeeting). Quasi la metà di loro laureata.

—ITALIANI IN FUGA PER LAVORO

Dati Commissione Europea (2012): Italia terzo Paese in Europa per numero di cittadini al lavoro in un altro Paese UE. 676mila italiani al lavoro nell’UE, dietro solo a rumeni (1 milione 212mila) e polacchi (1 milione 16mila).

Indagine Kelly Services (aprile 2011): 89% italiani disposto a trasferirsi per trovare lavoro ideale, il 33% disposto a cambiare Paese o Continente. La fascia 18-29 anni la più mobile. Tra le professioni, prevalgono per volontà di fuga Ingegneria, IT, Oil & Gas.

Indagine LinkedIn 2011: il 52% dei professionisti italiani è pronto a ricollocarsi in Europa e negli Stati Uniti per motivi di carriera.

Sondaggio Demos-Coop: il 56,2% degli intervistati ritiene che per i giovani di oggi l’unica speranza di carriera sia all’estero. La percentuale sale al 76% tra chi ha 15 e 24 anni, al 66,2% tra chi ha 25 e 34 anni, “pareggia” infine nella fascia 35-44 anni (55,2%). Il 62,5% degli intervistati ritiene che i giovani avranno in futuro una posizione sociale o economica peggiore rispetto a quella dei genitori.

—GIOVANI ITALIANI IN FUGA PER STUDIO

Gli studenti universitari italiani all’estero sono 42.433 (dati 2011 Fondazione Migrantes). Nell’ordine, scelgono: Germania, Svizzera, Francia, Belgio, Inghilterra. Nel biennio 2008/2009 ben 17.754 studenti italiani hanno usufruito del programma Erasmus.

—DOVE VANNO I “TALENTI IN FUGA”?

Dati Aire 2012: si conferma in cima agli approdi l’Europa (18.347 giovani emigrati in altri Paesi del Continente), ed è in netta ascesa l’emigrazione verso l’America Meridionale (4201), che stacca nettamente quella verso l’America Centro-settentrionale (2653). Per Paesi, domina la classifica degli espatri dei 20-40enni la Germania (3549 emigrati), seguita dalla Gran Bretagna (3366) e dalla Svizzera (3118). Quinti gli Stati Uniti (1821), seguiti dall’Argentina (1817). Anche il Brasile, con 1461 espatri, si conferma una destinazione interessante. Tiene -nonostante la crisi- la Spagna (quinta tra le destinazioni europee, dopo la Francia): nella “top five” dei Paesi extraeuropei figurano Australia e Canada, nonostante le difficoltà per ottenere un visto di residenza permanente.

IL “CASO GERMANIA”: Secondo Destatis, l’ufficio statistico tedesco, gli italiani emigrati in Germania in complesso nel 2012 sono stati 42.200 (+40% rispetto al 2011). La cifra è di quattro volte superiore rispetto alle stime Aire nei confronti di quel Paese.

Dati Istat 2011: in termini assoluti, i nuovi emigranti italiani prediligono nell’ordine: Germania, Gran Bretagna, Svizzera, Francia, Spagna, Stati Uniti, Brasile e Belgio. Se consideriamo solo i laureati, la classifica cambia così: Gran Bretagna, Svizzera, Germania, Francia, Stati Uniti, Brasile, Spagna, Belgio.

Gennaio-Agosto 2011: 6200 italiani espatriati in Svizzera (saldo negativo per 2800 unità)

Centro Studi e Ricerche Idos: America ed Europa raccolgono oltre il 90% degli emigrati. in Europa è la Germania il Paese di maggior afflusso.

—RIENTRO DEI TALENTI/CERVELLI

LEGGE CONTROESODO (238/10)– I primi risultati: 3838 professionisti “under 40” rientrati in Italia nel 2011, beneficiando degli sgravi fiscali. 1575 uomini e 2263 donne. Per la stragrande maggioranza lavoratori dipendenti.

Anno Accademico 2008-2009: 125 domande presentate da ricercatori, venti ritorni. Nei primi anni 2000: 466 ritorni, ma solo 45 contratti da professore associato. Un centinaio hanno fatto ritorno all’estero.

LINKIl flop del “Rientro dei Cervelli

—SALDO NETTO EMIGRATI-IMMIGRATI QUALIFICATI

Centro Studi Confindustria (2011): Italia 24esima al mondo per capacità di attrazione dei talenti, dopo la Grecia.

Negativo: in Italia ogni cento laureati nazionali ce ne sono 2,3 stranieri, contro una media Ocse al 10,45%. I laureati italiani al lavoro nei 30 Paesi Ocse sono 395mila 229. Stranieri entrati: 57mila 515. Solo sette “cervelli” Ocse su mille hanno scelto l’Italia come destinazione

LINKItaly? No merci

Solo il 12,2% degli stranieri che emigrano verso l’Italia possiede un’educazione terziaria (dati Ocse)

Il nostro saldo di attrazione è negativo (-1,2%), contro il 5,5% della Germania e il 20% degli Usa (dati Manageritalia)

Le università italiane sono le ultime per presenza di studenti stranieri: 3,1%, contro una media Ocse del 10%. In Germania sono l’11,4%, in UK il 17,9%, in Francia l’11,2%.

—MISURE LEGISLATIVE PER IL RIENTRO DEI TALENTI

Controesodo: incentivi fiscali per il rientro dei professionisti “under 40” all’estero da almeno due anni (approvata il 23/12/2010)

Il testo del Decreto Attuativo di Controesodo

La risposta del Governo Monti sui dubbi interpretativi della Legge Controesodo

-Legge 4 novembre 2005, numero 230: chiamata diretta come professore di prima o seconda fascia di studiosi italiani impegnati all’estero, che abbiano conseguito una posizione accademica di pari livello

-Decreto Ministeriale 18/2005: ricercatori con attività stabile all’estero da almeno tre anni possono ottenere un contratto a termine con una università italiana, per attività continuativa, esclusiva e a tempo pieno

-Programma Giovani Ricercatori “Rita Levi Montalcini” (2009): giovani studiosi stranieri e italiani, in possesso del titolo di dottore di ricerca conseguito da non oltre sei anni e impegnati all’estero da almeno un triennio, possono tornare per svolgere attività di ricerca. Finanziamento complessivo: 6 milioni di euro, stipendio lordo annuo per ricercatore: 40mila euro

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—BONUS: L’ARTICOLO DI SERGIO NAVA PER “LAVORI IN CORSO”, RIVISTA DI MANPOWER ITALIA (PAGG. 22-25), giugno 2012

—BONUS: L’ARTICOLO DI SERGIO NAVA PER IL NUMERO 43 DELLA RIVISTA ALTREITALIE (gennaio 2012)

—BONUS: L’ARTICOLO DI SERGIO NAVA PER LA NEWSLETTER DELLA FONDAZIONE NORDEST (agosto 2011)

—BONUS: ARTICOLO DI SERGIO NAVA PER RIVISTA “RICERCAZIONE” (DICEMBRE 2010)

—L’ARTICOLO DI “RICERCAZIONE” IN VERSIONE .PDF

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+++ I DATI – LE CAUSE DELLA FUGA +++

DEBITO PUBBLICO ITALIANO

2.074,7 miliardi (maggio 2013)

CRESCITA ITALIA

La crescita italiana ha registrato -tra il 2000 e il 2011- una crescita annua pari al +0,4%: ultima nell’Europa a 27 (Istat)

La crescita del PIL italiano tra il 2000 e il 2007 ha fatto segnare un +1,5% annuo (area Euro +2,2% /// Usa +2,6%). Nel biennio di crisi 2008-2009 l’Italia ha fatto registrare la performance peggiore dopo il Giappone (-3,3% di media annua) – Studio Giovani di Confcommercio novembre 2011

L’Italia soffre di un gap di crescita pari all’11% rispetto ai Paesi dell’Eurozona (700 miliardi di euro di mancata crescita) – Centro Studi Intesa San Paolo.

L’Italia è al 70esimo posto nel mondo per libertà economica (Fraser Institute, 2011)

L’Italia è al 43esimo posto nella classifica sulla competitività del World Economic Forum (2011). Ultima tra i Paesi del G7.

Liberalizzazioni: apertura del mercato italiano al 49% (Istituto Bruno Leoni, 2011)

GIOVANI ITALIA

Sono il 18% sul totale della popolazione, contro il 19,5% della media europea

L’Italia ne ha persi due milioni in dieci anni (dati Censis)

La prima fascia dell’età lavorativa, quella dei giovani dai 15 ai 24 anni, si è assottigliata in Italia di oltre 2 milioni e 800 mila soggetti dal 1991 al 2011: ora rappresentano il 10% della popolazione italiana, mentre solo vent’anni fa erano il 15,6%. In questa classifica poco rassicurante battiamo tutta la concorrenza europea, e solo in Spagna la riduzione è stata più ampia (Datagiovani 2013).

L’Italia ha uno dei più bassi tassi di fecondità in Europa: il nostro tasso di nascite è di soli 9,3 per 1000 abitanti, sotto la media Ue-27 (10,7 per mille abitanti) e peggiore solo di Germania, Lettonia e Ungheria (Eurostat, luglio 2011)

ISTRUZIONE

L’Italia investe solo il 4,6% del Pil in istruzione, contro una media Ocse del 5,7% ed Ue al 5,2%.

La prima università italiana nel Qs World University Ranking 2011 è l’Alma Mater di Bologna, al 183° posto.

Residenze Universitarie: ne usufruisce il 2% degli studenti italiani, a fronte di un 17% in Svezia, un 10% in Germania, un 7% in Francia.

Calano le immatricolazioni nelle università (dati Almalaurea): in sette anni -13%. Aumentano intanto i laureati che lasciano l’Italia, rispetto al 2004. Resta basso, nel complesso, il numero dei giovani laureati nella fascia d’età 25-34 anni: il 20% circa.

LAUREATI IN ITALIA

Solo il 20,7% dei giovani italiani ha una laurea, a fronte di una media europea del 33%, del 40,7% in UK e del 42,9% in Francia. Eppure, secondo Bankitalia, un aumento del 10% della quota dei lavoratori laureati porterebbe a un aumento della produttività totale dei fattori dello 0,7%.

Solo il 9,1% dei giovani con origini umili arriva alla laurea. Media europea: 23%

LINKSostiene Pereira

Solo il 56% dei nostri giovani sono attirati dalla possibilità di ottenere una laurea (dati Eurobarometro), contro una media europea al 76%. Secondo l’Eurispes, la laurea non è sinonimo di stabilità lavorativa, e non è sempre necessaria per trovare un’occupazione

Ben il 46% della popolazione tra i 15 e i 64 anni in Italia ha conseguito come titolo di studio più elevato la licenza media inferiore. Il 19,2% dei 18-24enni ha solamente la licenza media.

Italia fanalino di coda in Europa per i laureati con occupazione: nel Belpaese ha un lavoro il 76,6% dei “dottori”, contro la media-Ue all’82,3% (dati Eurostat). Al top la Svezia (88%), seguita da Olanda e Germania (87%), Lituania, Slovenia e Danimarca (86%).

Ricerca Acli 2012: il tasso di occupazione dei 25-29enni con elevate competenze (dalla laurea in su) è in Italia il più basso tra i Paesi europei: 55,6%, contro una media Ue dell’80%. In UK, Francia, Belgio e Germania supera l’85%, in Olanda il 90%.

CONTRATTI

La percentuale di giovani con contratto temporaneo è, in Italia, come segue:

15-24 anni -> 43,3% (media europea al 39,4%)

25-29 anni -> 24,1% (media Ue 20,4%)

30-54 anni -> 9,6% (media Ue 9,2%)

LINKLe prove

PRECARI: Il 52,9% dei giovani in Italia è precario (Ocse, 2013) Nel 2000 erano il 26,2% – Totale precari in Italia: 2.5 milioni (Istat, anno 2009), di cui 2.153.000 lavoratori a tempo determinato e 396mila collaboratori.

I giovani under 34 rappresentano il 43% del precariato totale (un milione e seicentomila, in termini assoluti). Quasi il 30% dei giovani sono precari (fonte: Datagiovani)

A dieci anni dal primo impiego il 29,3% degli assunti con un contratto precario o atipico si trova nella medesima situazione contrattuale. Un altro 10% è disoccupato (Istat)

Bankitalia (2011): in Italia il numero dei giovani che non sudia né lavora ha superato nel 2010 i 2,2 milioni – il 24,3% degli under 30. Il Mezzogiorno contribuisce per 1,2 milioni di unità, oltre il 50%. La quota dei Neet tra i laureati under 35 è del 20,5%.

Bankitalia (2011): Oggi un giovane che si affaccia per la prima volta sul mercato del lavoro in Italia ha il 55% di probabilità di vedersi offrire soltanto un lavoro in qualche modo precario.

Bankitalia: Poco più di un quinto dei giovani occupati con lavoro dipendente tra i 15 e i 34 anni hanno contratti a termine, più che negli altri paesi europei, con l’eccezione della Spagna.

Lavoratori Dipendenti: secondo Datagiovani (luglio 2011), tra il 2006 e il 2010 la percentuale di under 35 con un contratto di lavoro dipendente è passata da 4milioni e 600mila a 4 milioni (-12,6%). Il calo peggiore in Friuli-Venezia Giulia e Piemonte. Gli under 35 rappresentano ora il 34,4% dei lavoratori dipendenti totali (cinque anni prima sfioravano il 40%).

Rapporto Stella 2011: a un anno dalla laurea, il 38% dei triennalisti trova lavoro. La percentuale passa al 64,5% per i laureati magistrali.

La percentuale di neolaureati che entra in azienda direttamente con un contratto a tempo indeterminato è passata dal 20% del 2004 a meno del 6% del 2010.

Rapporto Cnel 2011: prima della crisi il 31% dei giovani con contratto temporaneo passavano -entro un anno- a un contratto permanente. Nel 2011 la percentuale si è abbassata al 22%.

Per Almalaurea (marzo 2011), a un anno dal conseguimento della laurea il 46,2% dei laureati di primo livello ha un contratto stabile (il 40,9% ce l’ha atipico), mentre tra gli specialistici il 35,1% gode di una stabilità contrattuale (il 46,4% è invece atipico).

Il lavoro a termine o atipico batte il lavoro a tempo indeterminato, nell’indagine dell’associazione Rena –  progetto “(Pre)Occupiamoci”. Sulla base di un questionario compilato per lo più da 25-35enni, Rena ha rilevato come la retribuzione mensile più diffusa sia tra i 1000 e i 1500 euro. Quasi il 60% degli intervistati considera la propria posizione precaria, nel quasi 80% dei casi si sente tutelato dalla famiglia – e quasi per nulla da azienda, Stato o sindacato. La metà del campione non riscontra corrispondenza fra la tipologia di contratto e la mansione reale. Due aziende su tre ricorrono a forme di contratti atipici. Per un intervistato su tre, la prima emergenza è garantire anche ai lavoratori atipici gli standard di welfare di cui gode chi ha un contratto collettivo.

Per Eurobarometro, il 25% degli occupati italiani ritiene che la propria occupazione non rifletta la propria formazione e competenze (media UE al 23%). Il 19% afferma di non ricevere rispetto e riconoscimento per l’impegno e i risultati (media UE al 19%).

Un dipendente su dieci in Italia lavora in nero. Gli occupati irregolari nel Belpaese costituiscono il 10,3% del totale. L’economia sommersa italiana ammonta a 255-275 miliardi, circa il 17% della ricchezza prodotta (Istat).

PARTITE IVA: Secondo la Cgil, nel 2011 la metà delle nuove partite IVA è stata aperta da “under 35”. Secondo il sindacato, spesso questa pratica nasconde forme di lavoro subordinato precario (stimato nel 20% delle partite Iva). Le partite Iva dei giovani sono cresciute del 7,36% in un anno.

SALARI

Tra il 1993 e il 2011 le retribuzioni contrattuali, in termini reali, sono rimaste ferme. Buste paga cresciute mediamente solo del +0,4% l’anno (Istat).

Salario medio in Italia: 33.849 dollari l’anno lordi (media Ocse 43.523 dollari, salari italiani calati dell’1,9% rispetto all’anno precedente). Italia ventesima nel ranking Ocse (2013).

Il salario medio di un neoassunto italiano (dati Istat) è di 900 euro, quasi quattrocento euro sotto la media. In Italia lo stipendio netto medio è di 1286 euro. Ricerca Cgil-Sunia: Il 60% degli “under 35″ percepisce un reddito inferiore ai mille euro.

Salari medi per neolaureati (dati Almalaurea): 1040 euro al mese. Nel 2010 un laureato di primo livello percepiva 1149 euro, uno specialistico 1078 euro, uno specialistico a ciclo unico 1081 euro.

Salari medi per neolaureati (dati Od&M Consulting, 2011): 24.455 euro lordi l’anno. Gli stipendi di 45 neolaureati assommati fanno quello di un Ceo. La retribuzione dei neolaureati è cresciuta solo dello 0,2% tra il 2009 e il 2010. Paradossalmente, gli under 30 in azienda da 3-5 anni hanno visto addirittura calare il proprio stipendio del 2,1%. Si sta accorciando la forbice tra 24-30enni laureati e non: i “dottori” hanno uno stipendio annuo di circa 24mila euro, i “non dottori” coetanei sono a quota 22mila euro.

Salari medi per i neolaureati: 1133 euro (laureati 2010) – Indagine Stella 2011

Nelle grandi e medie imprese: 1372 euro netti al mese per i neolaureati (dati Bachelor)

Aspettativa di stipendio dei laureati italiani (Trendence Institute, 2011): 19.837 euro per i laureati in economia, 20.864 euro per i laureati in ingegneria (valori identici rispetto al 2007). In Germania, un laureato in economia si aspetta un salario di 43.100 euro, un “dottore” in ingegneria di 44.343 euro (+10% rispetto al 2007). I valori italiani risultano inferiori rispetto alla media europea.

Reddito medio dipendenti italiani: 21.374 dollari netti l’anno (Ocse)

Un “under 30” in Italia guadagna in media il 77% di un “over 40”

Bankitalia: in termini reali i salari di ingresso dei giovani sul mercato del lavoro sono fermi da oltre un decennio, al di sotto dei livelli degli anni Ottanta.

—Pil pro-capite in Italia: 24.400 euro, dodicesimo posto nella classifica Ue.

LINKGiovani in fuga dai salari italiani

Salari Neolaureate (indagine Bachelor 2011): secondo un campione di studio, a quattro anni dalla laurea il 60% delle giovani laureate guadagna meno di 1250 euro netti al mese, solo il 5% di loro guadagna oltre 2000 euro. Le giovani professioniste italiane espatriate guadagnano più di duemila euro nel 56% dei casi.

Un giovane architetto guadagna all’anno 22.315 euro, contro i quasi 36mila o i 47mila di chi ha 10 o 20 anni più di lui. Il giovane ingegnere porta a casa 30mila euro l’anno: qui il divario è di 20mila o 30mila euro in meno, rispetto a chi è più anziano. Avvocati: ai 34mila euro di reddito del giovane si contrappongono i 68mila o addirittura i 97mila euro di chi da più tempo sta nella professione.

LINKIl tuo futuro è fuori!

Il 26,3% dei laureati specialisti incassa -a dodici mesi dal titolo- tra i 1000 e i 1250 euro al mese. Un tornitore: 1303 euro. Laureati triennali: a dodici mesi dal titolo il 23,4% di loro viene retribuito tra i 1251 e i 1500 euro. Quanto un caposquadra.

LINKCosa resterà di questi Anni Zero

Praticanti e tirocinanti in Italia (studio Ires-Cgil 2011): solo il 54,1% riceve un compenso. Il 65,5% di loro deve ricorrere alla famiglia per un sostegno economico. La media di età sfiora i 30 anni.

Indagine Stella 2011: il 50% dei laureati triennali in stage non percepisce un euro. Tra i laureati a ciclo unico, la percentuale scende a un terzo.

In Italia lo stipendio del padre pesa per quasi il 50% su quello del figlio

LINKCancrena Raccomandati

Pressione fiscale in Italia: 43,2% nel 2009

Pressione fiscale sui salari: 46,9% (Ocse, maggio 2011)

SELEZIONE

L’85% delle offerte di lavoro in Italia è nascosta (dati Unioncamere)

DISOCCUPAZIONE GIOVANILE IN ITALIA

Tasso di disoccupazione giovanile in Italia: 39,1% (Istat,  giugno 2013)

Tra gli under 30, disoccupazione al 20,2%.

Due milioni e centomila i giovani che non lavorano non studio – i Neet (Istat)

Rapporto Cnel 2011: nella fascia 25-30 anni, il 28,8% dei giovani non lavora né studia. Nella fascia 16-24 anni, la percentuale è del 18,6%.

Disoccupazione al 13% nella fascia d’età 20-34 anni, con una riduzione nella quota di occupati tra i giovani che è risultata di ben sette volte superiore a quella registrata tra i più anziani (dati Bankitalia 2010). Disoccupazione al 20,2% nella fascia 15-29 anni, quattro punti sopra la media UE.

Dati Confartigianato 2011: i disoccupati under 35 in Italia sono 1 milione 138mila.

Bankitalia: calo occupazione fascia 15-29 anni pari al 13,2% tra il 2008 e il 2010 (Francia: -2,7% / Germania: -3,1%).

Istat: nel 2011 calo degli occupati “under 30” pari a 93mila unità. -66mila per la classe 30-49enni. Crescono invece gli occupati più anziani.

Datagiovani: quasi la metà dei 262mila lavoratori che hanno perso l’occupazione nel primo trimestre 2011 sono “under 35”.

I disoccupati da oltre 12 mesi con meno di 35 anni -in Italia- sono 523mila (fonte Datagiovani, per “Il Sole 24 Ore”). Il 45% di chi cerca lavoro è senza impiego da più di un anno

Per l’Istat, nel biennio 2009-2010 gli occupati “under 30″ sono calati di 501mila unità. Un giovane su cinque non studia nè lavora, rientrando nell’universo dei Neet (ora superiore ai due milioni). Un giovane su tre è precario.

Solo il 66,9% dei nostri laureati 25-34enni lavora, contro la media europea dell’84%. I nostri laureati lavorano meno di chi ha un diploma (Censis, maggio 2011)

In crescita la disoccupazione tra i laureati, secondo Almalaurea: tra triennali del 2009, è salita al 16,2% (nel 2008 si attestava all’11,3%), tra i biennali è cresciuta fino al 17,7% (nel 2008: 10,8%). In crescita anche il “lavoro nero”.

L’Italia ha il più alto numero di giovani che non lavorano e non studiano, in Europa: i cosiddetti “Neet” (non in education, employment or training) sono oltre due milioni. Oltre uno su cinque. Nel 2009 il loro numero è cresciuto di 126mila unità, soprattutto al Nord e al Centro, anche se il record lo detiene il Mezzogiorno, con oltre un milione. Tra i Neet ci sono numerosi laureati (uno su cinque) e diplomati (idem).

L’Italia ha il triplo dei ragazzi che non studiano, né lavorano, rispetto alla media europea (statistica Censis)

Nel periodo 2001-2009 il tasso di occupazione post-laurea è calato drammaticamente: dall’85,9% al 77,3% a tre anni dal “pezzo di carta”. E dal 90,5% al’86,7% a cinque anni dalla laurea (dati Almalaurea).

Dati Istat: la crisi ha colpito duramente l’occupazione giovanile, con un calo di 235mila occupati nella fascia 15-24 anni e di quasi 620mila nella fascia 25-34 anni). Come risultato, è aumentata l’età media dei lavoratori italiani.

Rapporto Svimez 2011: due giovani su tre (fascia 15-34 anni) nel Mezzogiorno sono disoccupati, solo il 31,7% di loro ha un’occupazione. Oltre il 30% dei laureati under 34 non lavora né studia: si tratta di 167mila giovani “dottori”.

E’ molto forte il fenomeno del “sottoinquadramento”, vale a dire di quei lavoratori che svolgono mansioni inferiori al loro livello di formazione. Se a livello generale risulta sottoinquadrato un lavoratore su cinque, scopriamo che quasi uno su due di questi “sottoinquadrati” -a livello complessivo- ha un’età compresa tra i 15 e i 34 anni.

LINKOspedale Geriatrico Italia

Secondo l’Eurispes, la laurea non è sinonimo di stabilità lavorativa, e non è sempre necessaria per trovare un’occupazione

OCSE Employment Outlook 2010: in Italia un giovane su quattro è senza lavoro, mentre quasi uno su due è precario

Nel 2009 l’occupazione giovanile si è ridotta dell’11%, con una perdita netta di 485mila posti di lavoro per persone fino a 34 anni.

I dati sull’occupazione: 86,6% per gli uomini laureati (-3% rispetto alla media Ocse), 76,1% per le donne laureate (quasi -4% rispetto alla media). Francia, Germania e Gran Bretagna fanno meglio di noi, solo la Spagna “compete” ai nostri livelli.

LINKTalenti Italiani

Rapporto Bachelor 2011: a quattro anni dalla laurea, il 74,7% delle “dottoresse” sono occupate. Il 41% a tempo indeterminato. Stipendio medio netto mensile: 1164 euro (media estero: 1958 euro).

L’Italia è penultima fra i 33 Paesi Ocse nel “Labour Age Gap” (274 punti su mille), l’indice che misura il divario tra gli under 25 e il resto dei lavoratori nella “corsa” all’occupazione. Fa peggio solo il Lussemburgo.

Giovani inattivi al Nord: +81% tra il 2005 e il 2009 (dati Svimez)

A Milano e provincia solo il 63% dei laureati trova lavoro entro due anni dal “pezzo di carta”, in un’area dove ormai ben il 15,8% degli “under 30″ risulta disoccupato.

Lombardia: il tasso di disoccupazione dei laureati “under 30″ era -nel 2009- pari al 10,8%, in crescita di quasi quattro punti percentuali rispetto all’anno precendente. Sempre nel 2009, un neolaureato su cinque non ha trovato lavoro in Lombardia. Tra gli occupati: solo il 25% di loro ha ottenuto una forma di impiego stabile. E nel 36% dei casi l’inserimento nel mondo lavorativo è avvenuto con attività non dipendenti, quindi con un basso livello di tutela. Redditi: un neolaureato lombardo guadagna tra i 1251 e i 1500 euro (nel caso di contratto a tempo determinato), un salario che crolla a una forchetta compresa tra i 500 e i 750 euro per i contratti di collaborazione.

Lombardia 2: gli occupati 15-24enni sono calati dai 327mila del 2004 ai 231mila del 2010. Nella fascia 25-34 anni, il calo è stato dai 1.179.000 del 2004 ai 985mila del 2010. I Neet 15-29enni in Lombardia rappresentano il 15% (Italia: 21,2% / UE: 12,2%).

LINKL’articolo

Veneto: tra il 2008 e il 2009 la forza lavoro degli under 35 è diminuita del 2,7%, con un +3% registrato tra gli inattivi, coloro cioé che il lavoro non provano neppure a cercarlo. Su cento occupati in Veneto, solo il 31% sono giovani. Due su tre hanno un contratto a tempo determinato, solo un terzo è assunto stabilmente. Le aziende venete chiedono sempre più personale poco qualificato. Hanno sempre meno bisogno di laureati e sempre più manovalanza. Nel 59,5% dei casi i giovani che lavorano hanno conseguito il diploma di scuola media superiore, i laureati sono solamente il 13,1%.

LINKL’articolo

Eurostat 2011: tasso di occupazione 20-64enni in Italia al 61,1%. Peggio di noi solo Malta e Ungheria. Media UE: 68%.

IL WELFARE E LE PENSIONI DEI GIOVANI IN ITALIA

La spesa sociale destinata ai giovani in Italia: secondo dati Eurostat 2008, risulta pari allo 0,6%, contro una media Ue-27 al 2,5%.

LINKGiovani emarginati

Studio Censis-Unipol: il 42% dei giovani tra i 25 e i 34 anni, lavoratori dipendenti oggi, andrà in pensione nel 2050 con meno di 1000 euro al mese. La previsione include i quattro milioni di giovani contrattualizzati. Esclude un milione di giovani autonomi o con contratti atipici e due milioni di Neet, le cui condizioni pensionistiche potrebbero essere addirittura peggiori.

Secondo simulazioni indipendenti, i giovani italiani si troveranno a percepire pensioni da 700 euro mensili (per gli uomini) e da 400-550 euro (per le donne). Altre simulazioni (Boeri-Galasso) estendono la forbice tra i 638 e i 1052  euro mensili, con l’aggiunta di un’età pensionabile che sarà raggiunta solo intorno ai 67 anni.

Il vero welfare in Italia resta quelo della famiglia di origine: il 41,9% dei 25-34enni vive ancora con madre e padre (+8,7% in 18 anni) – Istat

CLASSE DIRIGENTE

La metà dei manager italiani non è laureata

Solo il 4% dei manager in Italia sono stranieri. Poco più dell’1%, invece, secondo la Fondazione Rodolfo De Benedetti (media europea 6-7%)

Crollo del numero dei giovani imprenditori “under 30″ nel Paese, calati dai 278mila del 2002 ai 212mila del 2010 (dati Confcommercio). Statistiche confermate da Datagiovani: tra il 2006 e il 2011 il numero di “under 30” a capo di un’impresa è calato di 64mila unità, 7800 dei quali solo nel 2011.

ETA’ MEDIA CLASSE DIRIGENTE

Nel 1990 l’età media dell’élite italiana era di 51 anni. Quindici anni dopo era salita a 62 anni (dati Manageritalia)

Due leader su tre in Italia hanno più di 65 anni. Solo il 17,2% sono donne. E solo uno su dieci di loro ha un titolo post-laurea (un quarto rispetto alla Gran Bretagna)

In Italia per ogni 144 anziani ci sono 100 giovani. Secondo Paese più vecchio d’Europa, dopo la Germania.

LINKClasse Dirigente

61,8 anni (2004). Gli “under 30” rappresentano meno del 3% della classe dirigente. Gli “over 65” , al contrario, il 35,8%.

LINKUna generazione spacciata

Sono giovani solo il 6,9% dei dirigenti, il 12,3% dei quadri, il 15% degli imprenditori, il 22% dei professionisti.

LINKNon è un Paese per giovani

Bankitalia: Gli imprenditori a capo di imprese che hanno almeno 3 anni e mezzo di vita sono meno giovani che negli altri paesi. Solo il 2% si colloca nella classe di età tra i 18 e i 24 anni. In Italia le imprese appena nate mostrano prospettive di crescita più basse, ancora minori se il proprietario ne è anche il manager. Secondo i risultati di un’indagine campionaria su imprese manifatturiere con almeno dieci addetti il management delle imprese italiane è relativamente anziano: oltre la metà dei dirigenti ha più di 55 anni; è il 40% circa nella media europea. Quelli giovani sono pochi; in quattro casi su cinque appartengono alla famiglia proprietaria. È perciò meno diffusa in Italia quell’attitudine alla capacità innovativa che caratterizza in genere i giovani imprenditori. Le imprese italiane a proprietà familiare sono oltre l’80%, sostanzialmente come negli altri principali paesi europei. Le cose cambiano se consideriamo, anziché la proprietà, la gestione. In due terzi delle imprese familiari italiane, l’alta direzione è espressione diretta della famiglia proprietaria; è un terzo in Spagna, un quarto in Francia e in Germania, un decimo nel Regno Unito. In queste imprese la scarsa propensione a reperire risorse manageriali sul mercato, anche quando difettino all’interno della famiglia, può incidere negativamente sulla gestione dell’impresa e sulla disponibilità a intraprendere progetti ad alto rischio e rendimento.

La politica. Nell’ultimo Parlamento i giovani rappresentano solo il 5,6% dei deputati. Al Senato gli over-60 sono il 33,2% del totale, alla Camera i 46-55enni sono il 41%.

L’università. Circa il 50% dei professori ordinari nelle università italiane ha oltre 60 anni di età. Il 20% del totale ha addirittura oltre 65 anni (fonte: Cnvsu). Nel 2010 l’età media dei professori ordinari è salita a 63 anni di età. Solo il 15% del totale ha meno di 51 anni.

Il 7,6% dei professori ordinari sono over-70. Su 61.929 docenti e ricercatori, gli under-35 sono solo il 7,6%.

Libere professioni: l’età media dei giornalisti professionisti è 54 anni; i medici con meno di 35 anni sono sotto il 12%.

LINKIl mito del posto fisso

L’età media dei consiglieri regionali è di 48,9 anni: le Marche sono la regione più “giovane”, in termini di età dei consiglieri (45,2 anni); la Basilicata -con 51,8 anni- quella più “vecchia”. Il consigliere più giovane a livello nazionale: Nicola Finco della Lega Nord, 26 anni (Veneto); la decana è invece Margherita Hack, 88 anni, eletta nel Lazio con la Federazione della Sinistra. In Lombardia cinque rappresentanti dei quasi due milioni di “under 35″ lombardi sono stati eletti al Pirellone. Solo cinque consiglieri su 80: il 6% di rappresentanti regionali sono dunque “under 35″.

LINKElezioni Regionali

Solo il 18,7% degli amministratori dei comuni italiani ha meno di 35 anni.

I titolari di imprese individuali in Italia con età uguale o maggiore a 70 anni sono aumentati tra il 2002 e il 2008 del 6,3%. In Lombardia del 16,7%. Sul totale delle cariche direttive all’interno delle imprese, nei sei anni presi in considerazione la presenza degli “under 30” è calata del 7,6%, mentre gli “over 70” sono cresciuti del 58,2%. In Italia appare praticamente impossibile trovare un amministratore delegato che abbia meno di 30 anni: in sei anni i pochi sopravvissuti sono calati del 51,2%. Gli unici “ad” che aumentano numericamente sono gli ultrasettantenni: +27,2%. Le cariche ricoperte dagli “over 70” nei consigli di amministrazione societari sono quasi raddoppiate tra il 2002 e il 2008.

LINKGerontocrazia al potere

Rapporto Unioncamere: “le opportunità di carriera per gli under 30 crollano drasticamente“. La presenza dei giovani all’interno del variegato mondo dei sei milioni di imprese italiane appare sempre più “leggera“. Gli amministratori “under 30″ nelle imprese risultano nel 2010 pari a 167.260, contro i 289.474 di dieci anni fa. Anche il calo percentuale è drastico: dal 10,2% al 4,4%. Dimezzata o ridotta a un terzo la loro percentuale nel settore dei servizi (dal 15,6% all’8,6%), delle costruzioni (dal 9,3% al 4,3%), della sanità (dal 10,1% al 4,3%), dell’istruzione (dal 9% al 3,3%). Il crollo è trasversale: dalla ricca Lombardia (dove sono passati al 9% al 3,4% in dieci anni), fino alla Sicilia (dal 12,5% al 5,6%). Unica sorpresa: in Calabria la loro percentuale supera la misera media nazionale (7,2% contro il 4,4%).

LINKVoglio una vita spericolata

la gerontocratica Italia spende oltre la metà del sostegno al reddito (il 51,3%, per l’esattezza) in pensioni. Solo l’1,9% se ne va a sostenere i disoccupati. Dati Istat.

IMMERITOCRAZIA-RACCOMANDAZIONE-COOPTAZIONE

In Italia il lavoro, dopo la sanità, è il settore dove prevale la pratica della raccomandazione (dati Istat-Censis).

Il 61,1% delle aziende assume sulla base di conoscenze (indagine Excelsior 2011). Le banche dati interne contano per il 24,6%, le società di selezione e interinali per il 5,7%, i centri per l’impiego per il 2,9%, le inserzioni sui media per il 2,3%. Il fenomeno dell’assunzione per conoscenza dilaga nelle piccole imprese e nel Mezzogiorno.

Il 28% degli imprenditori afferma di ricevere molte raccomandazioni.

Solo una minoranza di imprese italiane sceglie i propri manager sulla base delle performance e delle selezioni

LINKManager meritocratici in fuga

Inchiesta de “La Stampa”: oltre il 50% dei giovani trova lavoro in Italia grazie a parenti e conoscenti

Studio Isfol (2011): tra i giovani il 40% ha ottenuto il proprio impiego grazie alla “spintarella”. Media generale Italia: 30%. La “segnalazione” frutto di contatti professionali funziona solo nel 7.5% dei casi, i Centri per l’Impiego piazzano solo il 3% degli assunti. Il fenomeno della raccomandazione appare in crescita.

Un quarto degli italiani fa ricorso alla raccomandazione (Censis)

LINKRaccomandazione Endemica

Il 38,7% delle imprese milanesi assume sulla base di segnalazioni di amici, conoscenti e fornitori. La media sale al 44,4% in Lombardia, fino a toccare il 49,7% nella media italiana.

L’82% dei lavoratori italiani ha conosciuto un raccomandato, il 66% ci lavora quotidianamente, il 44% ne sta alle dipendenze (ricerca Infojobs.it)

LINKSe non hai un papà ministro…

Gli avvocati e i farmacisti figli o nipoti di avvocati e farmacisti sono oltre il triplo della media, se confrontati con i lavoratori autonomi. I medici “imparentati” sono addirittura quattro volte la media.

NEPOTISMO

LINKNepotismo & Gerontocrazia

In Italia l’ascensore sociale è bloccato: solo l’8,5% di chi ha un padre operaio riesce a raggiungere posizioni apicali. L’ascensore sociale appare bloccato fin dai banchi di scuola, nei percorsi formativi (Istat).

I COSTI DELL’IMMERITOCRAZIA

Tra 1080 e 2671 euro pro-capite: perdita di Pil compresa tra 63,6 e 157,3 miliardi di euro. Incidenza sul tasso di crescita annuo del Pil: 0,43%

LINKImmeritocrazia Italiana

MULTINAZIONALI ITALIANE

Diciassette in tutto, per 36.400 addetti, contro i 113mila della Germania e i 76.500 della Francia. Al contrario, il 95% delle imprese in Italia conta meno di dieci addetti.

LINKMultinazionali d’Italia e Pmi a conduzione familiare

Dimensione media delle aziende italiane: circa quattro addetti (in Europa risulta superiore solo a Portogallo e Grecia).

DATI BANKITALIA (2011): Le aziende italiane sono in media il 40% più piccole rispetto a quelle dell’Eurozona. Tra le prime 50 imprese europee per fatturato, troviamo 15 imprese tedesche, 11 francesi, solo 4 italiane. Le nostre imprese manifatturiere contano in media otto addetti, contro gli 11 della Spagna, i 14 della Francia e i 35 della Germania.

Centro Studi Mediobanca: l’assetto di comando delle multinazionali italiane è nelle mani dello Stato nel 65,1% dei casi (nel mondo è il 18,6%), delle grandi famiglie nel 33,4% dei casi (mondo: 12,5%) e solo per l’1,6% è riconducibile all’azionariato diffuso (nel mondo la percentuale sale fino al 67,6%). Gli utili delle nostre multinazionali corrono meno rispetto a quelli delle altre: nel 2010 la manifattura “Made in Italy” è cresciuta del 9,3%, contro il +11%UE, il +17,6% della Germania, il +11,8% della Francia. La prima italiana nella classifica generale delle multinazionali è Eni (13esima). Mediobanca conta solo 15 multinazionali italiane.

INVESTIMENTI IN RICERCA IN ITALIA

1,26% sul Pil (media Ue: 2%) – Istat

LINKPensiero del Weekend 9

Solo sei imprese italiane nella classifica delle prime cento europee per investimenti in R&S

LINKImprese “Made in Italy”

Ricercatori impegnati nelle imprese private: in Italia il loro numero è cresciuto di appena il 14% tra il 1990 e il 2008. In Francia è raddoppiato, in Spagna è triplicato.

Rapporto Acli 2011: in Italia solo 105mila dipendenti impegnati nel settore ricerca e sviluppo privato (tra loro, solamente 35.350 sono ricercatori a tutti gli effetti). Sei volte meno del Giappone, tre volte e mezzo meno della Germania, meno della Spagna.

Ricercatori impegnati nelle attività di R&S: 4,0 ogni mille abitanti (media Ue: 4,9)

Presenza di venture capital (capitale di rischio) in Italia: 0,005% del Pil – Germania 0,03%, Francia e UK 0,05%.

DISEGUAGLIANZE SOCIALI

In Italia il 10% delle famiglie più ricche possiede quasi il 45% della ricchezza nazionale

Dati Ocse: l’Italia al quinto posto tra quelli che tra il 1985 e il 2008 hanno registrato un incremento della forbice tra redditi più elevati e redditi più bassi. Il coefficiente Gini, che misura questo parametro, è cresciuto in Italia dallo 0,31 (metà anni ’80) allo 0,35 (fine anni 2000). In questo lasso di tempo, il reddito medio italiano è salito dello 0,8% (media Ocse +1,7%). Per la fascia più povera della popolazione italiana, l’incremento è stato però pari solo allo 0,2%, contro il +1,1% della fascia più ricca.

Rapporto Acli 2011: la busta paga giornaliera di un dirigente in Italia è di 422 euro, contro i 66 di un operaio.

Secondo una ricerca Cgil-Sunia, sette milioni di giovani tra i 18 e i 34 anni vivono ancora con i genitori. Il 40% di loro ha più di 25 anni. Il 44% ha una laurea. Uno su due è precario/a.

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