Nelle scorse settimane, sull’onda di una interessante notizia pubblicata dal “Corriere della Sera”, ho lanciato una provocazione delle mie sul portale di networking professionale LinkedIn. Che recitava così: “Gli stipendi netti in Italia sono al 23esimo posto nella classifica Ocse dei trenta Paesi più industrializzati, considerando il salario netto (21.374 dollari). Salgono al 22esimo, considerando invece quello lordo (30.245 dollari). Rispetto alla media UE-15, i nostri stipendi risultano inferiori addirittura del 32,3%. Domanda/e: l’Italia è un Paese nel quale vale la pena investire negli studi e nella carriera, per un giovane? E’un Paese che premia il merito, anche sottoforma di titolo di studio? Non è forse più risolutiva l’idea di una fuga all’estero, se si è under-40?”
Ecco alcune delle decine di risposte pervenute, segno del notevole interesse che il tema generai tra i professionisti:
Giancarlo: Io vivo in Svizzera, in Canton Grigioni italiano e lavoro nell’alto Ticino. il costo della vita è mediamente più elevato di circa il 12% rispetto al Nord Italia. Ho vissuto 30anni a Milano, e vi dico che è più cara di Lugano, Bellinzona, Chur, Luzern, Sangallo, che sono città che conosco bene. Nonostante io viva nel territorio di lingua italiana, in un bellissimo contesto paesaggistico con montagne e laghi, il business va bene, la crisi ha portato solo un 4,7% di disoccupazione, e gli stipendi sono il TRIPLO dell’Italia, con una tassazione di META’ dell’Italia. Non credo di vedere un bel futuro nel nostro Paese: sono solo preoccupato per i miei figli rimasti lì, che non vogliono sentire ragione a spostarsi all’estero… e per tutti i figli e i giovani che sono il futuro di un Paese che non ha futuro.
Valter: ho lavorato fino a 2000 in Italia, poi ho deciso -per incrementare il mio bagaglio culturale- di andare all’estero, acquisendo professionalità che qui in Italia non possono essere spese per mancanza di “budget” da parte delle nostre aziende e per mancanza di metodologie organizzative. Sono ritornato nel 2008 prima della crisi, ma sono stato costretto a lavorare come consulente! Sono stato presentato da società di Selezione di Alto Livello per posizioni in cui ero maledettamente qualificato, ma sono sempre arrivato “secondo” – preferivano un candidato che non si era mai mosso dall’Italia o meglio dalla sua Provincia, cosa potremmo dire in questi casi? La meritocrazia lascia spazio ai “localismi” … qui nel trevigiano non si assume uno di Padova … mentre io riesco da qui a trovare lavoro in un altro Paese! Cosa c’e’ di sbagliato in questo Paese? Ora sono costretto a re-uscire con la famiglia, ma non più per motivi professionali: solo perche questo Paese dà “lavoro ad incompetenti”, che parlano il dialetto del luogo, invece di tre lingue a livello professionale! Questa volta me ne vado per sempre.
Elisa: Mi sono laureata in Italia e ho lavorato in Italia per i primi 8 anni presso società internazionali. Nel 2007 ho deciso di accettare un nuovo lavoro in Irlanda, stanca di lavorare a Milano 12 al giorno per uno stipendio appena dignitoso, ma soprattutto stanca del fatto che la meritocrazia non esiste. All’estero mi sono state date opportunità di crescita impensabili in Italia, e -conseguentemente- riconoscimenti. L’esperienza all’estero e’ comunque e soprattutto raccomandabile per l’interscambio culturale che fa crescere non solo professionalmente ma personalmente.
Lorenzo: Quando lavoravo per una piccola industria chimica molto italo e poco americana e viaggiavo per l’Europa del nord colloquiando amabilmente con olandesi, belgi-fiamminghi, tedeschi, danesi, scandinavi e simili non sono mai riuscito ad incontrare ingegneri o chimici che guadagnassero meno del sottoscritto, pur considerando rimborsi, trasferte e quant’altro; statunitensi e canadesi non li ho citati, per pudore. Vorrei essere più esplicito io dirigente d’azienda, italiano della Padania (dove ci raccontano che gli stipendi sono maggiori a causa del costo della vita), guadagnavo sempre meno di qualunque impiegato nordeuropeo.Attenzione, da buon bresciano ho sempre tenuto medie di 220-260 ore al mese di lavoro e ferie al minimo, mentre all’estero il concetto di ore straordinarie è del tutto capovolto.
Adriano: l’Italia sta subendo, a mio parere, una retrocessione di cui nessuno parla: stipendi bassi, qualità scadente degli ambienti lavorativi, bassa qualità del lavoro, precarietà (modello tutto italiano visto che anche qui scopiazziamo ma male), tasse alte (si veda quanto di uno stipendio va “buttato” in tasse per avere dei servizi sempre più scadenti), servizi pessimi, rapporti con le istituzioni inesistenti… insomma EMIGRARE certo, ma con le dovute precauzioni dato che all’estero le cose funzionano meglio, sì, ma è bene mettere in guardia chi si appropinqua, poiché “non è tutto oro quello che luccica”. Io sono da poco emigrato e dove sono mi trovo di gran lunga meglio, per il momento. Saprò essere più preciso nel prossimo futuro.
Leonello: Si, forse e’ anche un po’ tardi per migrare. Io sono molto over 40, e vivo in Cina da diversi anni. Aggiungerei una nota particolare sulla Cina: uno stipendio netto intorno ai 1.000 Euro era un sogno per molti giovani laureati cinesi fino a qualche anno fa. Ora e’ alla portata di molti giovani manager con qualche anno di esperienza. Purtroppo e’ diventato ora un sogno per molti giovani neo laureati italiani.
Alessandro: sono da poco emigrato in Cina e il rapporto stipendio/costo della vita e’ infinitamente favorevole rispetto all’Italia. In Italia vive ancora bene chi ha un’attività propria o una professione che gli permette di beneficiare di “agevolazioni fiscali” più o meno lecite. Purtroppo per un manager o per un lavoratore dipendente che paga tutte le tasse, soprattutto se vive in una città tipo Milano o Roma con costi della vita paragonabili alle altre capitali europee, quello che rimane in busta paga spesso non e’ sufficiente a mantenere un livello di vita accettabile e consono all’impegno lavorativo sostenuto. Ad un giovane che sta entrando nel mondo del lavoro suggerirei di adoperarsi in ogni modo per tentare di andare all’estero: nei Paesi emergenti c’e’ spazio per la creatività e la flessibilità italiana, e la qualità della vita può essere superiore, a patto che ci sia la disponibilità ad adattarsi a cultura e sistemi diversi.
Francesco: Io ho studiato in Italia, ma appena finiti gli studi sono emigrato. Il buffo e’ che si va pensando di rientrare dopo qualche anno, ma una volta di nuovo nel Belpaese la tentazione di ripartire e’ forte. In ogni caso con la globalizzazione i lavori vanno lì, dove la forza-lavoro costa poco. Tipicamente hardware in Cina, software in India e cosa rimane nei Paesi avanzati sono i servizi. Circa la flessibilità, quella l’ho scoperta in America, con i suoi effetti sia positivi che negativi.
Alessandro: Lasciare l’Italia per l’estero, per crescere in esperienza professionale è un’ottima motivazione. Bisogna però considerare che non sempre tale esperienza è rivendibile proficuamente in Italia, per cui una volta partiti è ben difficile tornare, se non altro perché si è contratto un altro “modus laborandi”.
Federico: In Italia essere qualificati è controproducente. Personalmente tre anni fa ho cambiato lavoro e durante la ricerca mi sono sentito dire che “sono troppo qualificato”. La corsa al contenimento dei costi a tutti i costi (scusate il gioco di parole) è iniziata negli anni ’90 e continua tutt’oggi, anche a discapito della qualità della produzione. Confido però nel trovarci in un punto di minimo, e che nei prossimi anni vengano nuovamente rivalutate le parole “professionalità” e “preparazione”. In qualunque caso, per coloro che lavorano nel mondo IT, la globalizzazione informatica della Rete apre interessanti opportunità.
Andrea: Non credo la laurea aggiunga un granché all’aspirazione di carriera in Italia, dove il contesto industriale è formato da piccole-medie imprese, spesso a carattere padronale, e una qualifica elevata viene spesso vissuta dalla dirigenza come una minaccia, anziché una opportunità. Credo però che la laurea offra una grande opportunità di apertura mentale, specie se unita ad un soggiorno all’estero già durante gli studi, oltre a una legittima speranza di trovare una occupazione più aderente alle proprie aspirazioni.
Leonardo: I numeri della statistica mostrata sono amari. Per di più se associati alla competitività di alcuni settori, in netta e costante diminuzione – e più in generale a quella del sistema-Paese. Un’esperienza all’estero è importante per tutti noi, ma l’emigrazione di massa è solo una giusta provocazione. Un’altra provocazione: cosa fare per non essere forzati ad emigrare in un futuro? Come difendere e rafforzare le nostre eccellenze, come crearne di nuove, con una visione strategica dei settori da presidiare e sviluppare? Come favorire l’innovazione? Io all’estero ci sono stato, e non escludo di tornarci… ma il futuro nostro e della prossima generazione di italiani lo vogliamo costruire qui.
Fortunato: A mio avviso il “problema” è legato alla politica dello stato Italiano…. è uno Stato che non investe in cultura e ricerca, e ciò “azzera” un po’ il valore di certe lauree o percorsi professionali…. io ho lavorato all’estero per metà della mia carriera ormai, ed in Italia ora ci vivo soltanto…. Non credo che in questo momento sia una nazione che può valorizzare chi -come noi- ha un background internazionale. La Svizzera non paga male ed in più ha una struttura socio-lavorativa che premia chi ci sa fare. Italia mia ti amo, però….
Enrico: Quello che considero una stortura è che in media in Italia un carrozziere guadagna almeno il doppio di un ricercatore (lascio decidere a voi chi potenzialmente contribuisce maggiormente al PIL). Inoltre, specie nel pubblico, dove lavoro, le opportunità di appagamento dal proprio lavoro non sono limitate tanto da aspetti economici, quanto da aspetti quali la totale disorganizzazione e mancanza di serietà di molti amministratori, e la sensazione che non interessi a nessuno se tu fai bene le cose.
Mario: In Italia i giovani che investono sugli studi e sulla carriera sono una esigua minoranza. Basta leggere le statistiche sul rapporto tra iscrizioni alla scuola elementare e all’università in Italia e nel mondo. La stragrande maggioranza (al sud come al nord) abbandona gli studi dopo la scuola dell’obbligo o dopo il diploma. Questa minoranza di volenterosi dovrebbe considerare almeno l’Europa (vecchia e nuova) come possibile futuro sbocco occupazionale. Se non lo farà, precipiterà in una inevitabile spirale di frustrazione e di mancanza di sbocchi professionali adeguati e coerenti. Per questo non parlerei di “fuga all’estero”, ma di necessità di costruirsi un futuro là dove è possibile.
Francesco: Credo che l’ economia italiana sia in declino irreversibile, perché da un lato l’ economia industriale e’ tramontata, dall’ altro l’attuale classe dirigente ha una paura fottuta della “knowledge” in generale e della “knowledge economy” in particolare. Se i prezzi e i salari servono a segnalare qualcosa … Credo che il futuro sarà a pelle di leopardo, con piccole macchie di conoscenza seminate qua e là da persone determinate e volonterose, in un mare di progressivo imbarbarimento. Tenetevi forte…
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