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FONTE: Ansamed
Allarmato da una fuga di cervelli che rischia di depauperare il suo patrimonio scientifico e intellettuale, punto di forza del Paese, Israele ha ora cominciato un deciso sforzo per richiamarli in patria con un piano di incentivi e con la creazione di nuovi posti di lavoro, cattedre universitarie e centri di ricerca.
Nello Stato ebraico l’esodo verso l’estero di molti dei suoi migliori cervelli ha assunto dimensioni che sono divenute causa di vero preoccupazione, a maggior ragione in un Paese che vede nell’innovazione tecnologica il motore del suo sviluppo economico e un elemento vitale della sua sicurezza.
In Israele, secondo il prof. Manuel Trachtenberg, presidente di una commissione interministeriale col compito di combattere il fenomeno, la percentuale degli accademici che scelgono di vivere all’estero è del 25%. “Israele – afferma – è involontariamente divenuto uno dei maggiori esportatori di cervelli al mondo”. In Israele si stima che siano 20-30 mila gli accademici residenti all’estero.
Una conseguenza è tra l’altro l’invecchiamento del corpo accademico israeliano. Secondo dati del Consiglio Israeliano per l’Istruzione Superiore, il 48,3% dei docenti universitari ha ora un’età superiore ai 55 anni. Negli Stati Uniti sono il 32,2%, in Australia il 24,9%, in Gran Bretagna il 16,9%.
Un primo passo per richiamare in patria i figli migliori è la creazione da parte del ministero della Scienza e la Tecnologia, di una banca dati contenenti informazioni su circa cinquemila scienziati, esperti di hi-tech e ricercatori attualmente impiegati da primarie università, industrie e centri di ricerca esteri, dove le condizioni di impiego e di lavoro sono ben più favorevoli che in patria.
Grazie anche al contributo di imprenditori israeliani, che si sono mobilitati in questo sforzo, ciascuno degli iscritti nella banca dati sarà contattato tramite canali diversi con proposte di impiego in Israele.
Oltre a allettanti incentivi fiscali, lo stato israeliano ha deciso la creazione di una trentina di “centri di eccellenza” per la ricerca che dovrebbero richiamare in patria diverse centinaia di ricercatori.
“Ciascuno di loro – dice Trachtenberg – diverrà membro del corpo accademico di una delle università e riceverà nell’arco di cinque anni uno stanziamento di due milioni di shekel (400 mila euro) per le ricerche, al quale si aggiungerà uno stanziamento per l’acquisto di computer, equipaggiamento per laboratori, letteratura e informatica”.
Inoltre sarà costituita una fondazione con un bilancio di un miliardo di shekel (220 milioni di euro), col compito di creare società di start up e ricerche nel campo della biotecnologia.
Il piano, dice il ministro delle finanze, Yuval Steinitz, “riporterà in Israele centinaia, forse migliaia di professori e dottori che stimoleranno le nostre industrie e miglioreranno le nostre università, che soffrono di stagnazione, e al tempo stesso le ringiovaniranno”.
In una graduatoria delle migliori università al mondo l’ Università Ebraica di Gerusalemme ha occupato nel 2009 il 72.mo posto, il Politecnico di Haifa, l’Università di Tel Aviv e l’ Istituto di Ricerche Weizman si sono piazzati rispettivamente fra i primi 100 e i primi 150 posti.